Le difficoltà del passaggio generazionale

Le piccole e medie aziende sono la ricchezza del nostro assetto economico, è in questo contesto che l‘imprenditoria è cresciuta e cresce con la passione personale dell’imprenditore e riesce a raggiungere livelli di eccellenza che sono invidiati al nostro paese in tutto il mondo.
Tuttavia queste realtà entrano in crisi e a volte si disgregano perché non reggono l’impatto del passaggio generazionale della gestione o vengono travolte da quelli che sono i conflitti successori familiari.

Per conservare l’azienda e provvedere per un passaggio efficiente che rispetti le aspettative della famiglia si devono gestire rapporti personali e trovare soluzioni efficienti che rispettino i limiti posti alla libertà di disporre del proprio patrimonio previsti dal nostro ordinamento giuridico.

Il passaggio generazionale può interessare il passaggio dalla prima generazione imprenditoriale, per intenderci dal capofamiglia che ha costruito la sua azienda nella seconda metà del novecento, o il passaggio da successive generazioni imprenditoriali; potremo quindi trovare un fondatore che vuole mantenere il controllo incontrastato del patrimonio aziendale e familiare e ritiene di potere risolvere il problema lasciando ai figli delle “raccomandazioni” che, secondo lui, possano meglio sostituire una struttura programmata e gli lascino fino all’ultimo la possibilità di valutare nuove soluzioni o eredi afflitti da visioni diverse per lo sviluppo dall’azienda o anche da mancanza di interesse o incapacità.

In entrambi i casi la situazione può portare ad una successione che vede i familiari in conflitto e la gestione aziendale in sofferenza e come atto finale la sua vendita a terzi.

Certo, nel nostro ordinamento ci sono istituti che, almeno apparentemente, ostacolano la libera gestione del passaggio generazionale limitando la libertà di azione dell’imprenditore e che devono essere valutati caso per caso per creare un assetto successorio efficiente; mi riferisco al divieto di patti successori e alla successione necessaria (cioè le riserva di legge di una quota di eredità, così detta legittima, a favore del coniuge, dei figli ed, in mancanza di figli, degli ascendenti,).

Gli unici strumenti ammessi dal nostro ordinamento per disporre del proprio patrimonio dopo la morte sono il testamento e il Patto di Famiglia.
L’articolo 458 c.c. dispone che è nullo qualsiasi patto con il quale si dispone della propria successione o si rinuncia ai propri diritti ereditari. Tuttavia nell’ambito di una pianificazione del passaggio generazionale sì potranno prendere in considerazione accordi e donazioni che non pongono limiti alla volontà testamentaria e non attribuiscono alcun diritto successorio e non sono pertanto contrari al dettato dell’ 458 c.c. e che permettono all’imprenditore una pianificazione.

Un esempio, può essere il trasferimento della nuda proprietà dell’azienda o delle partecipazioni societarie all’erede che si ritiene più adatto alla gestione, con riserva di usufrutto all’imprenditore che, pertanto, conserverà la gestione dell’impresa con passaggio automatico della proprietà al nudo proprietario alla sua morte.
Naturalmente perché questa strada sia efficace si dovrà attentamente studiare caso per caso sia l’aspetto fiscale (momento più conveniente per effettuare l’operazione, donazione o trasferimento oneroso), che quello attinente all’esercizio dei diritti dell’usufruttuario e nudo proprietario al fine di evitare conflitti attinenti alla gestione; ad aumenti di capitale che possono ledere la consistenza della nuda proprietà; alla disciplina in sede di successione degli incrementi e decrementi del valore dell’azienda e ad ogni altro aspetto pertinente.

Un altro esempio può essere l’inserimento nello statuto di società di una clausola che stabilisce il diritto dei soci destinati alla gestione dell’impresa di acquistare le partecipazioni dagli altri eredi a un prezzo determinato da criteri specificati nello statuto stesso. Anche qui sarà naturalmente necessaria una pianificazione che preveda la partecipazione nella società che esercita l’impresa dell’erede destinato alla gestione futura con la valutazione del miglior modo di acquisizione; una valutazione dei criteri per fissare il prezzo di acquisto e la disponibilità della provvista per l’acquisto.

Con l’istituto della successione necessaria la legge riserva al coniuge, ai figli e, in mancanza di figli, agli ascendenti, una quota di eredità, la così detta legittima e lascia al testatore la libera disposizione di una quota “disponibile”.
Sotto questo aspetto la pianificazione del passaggio generazionale deve tenere conto della necessità di non privilegiare quantitativamente i familiari che vengono destinati alla continuazione della attività imprenditoriale e mirare, da un lato, ad evitare la frammentazione del bene produttivo e, dall’altro, ad assicurare agli altri eredi un patrimonio di un valore che rispetti i loro diritti.

Spesso il padre di famiglia pensa di potere fare una equa distribuzione del patrimonio con donazioni fatte agli eredi in vita e quindi provvedere per il passaggio generazionale donando l’entità produttiva ad uno o più eredi ed effettuando a favore degli altri donazioni che dovrebbero essere compensative.
Questa soluzione viene vista con favore dall’imprenditore perché permette di individuare ed instradare chi porterà avanti l’azienda provvedendo per tutti; il disponente è convinto che i figli rispetteranno la sua volontà.
Purtroppo non è sempre così: uno o più eredi possono ritenere lesa la loro quota di legittima e si dovranno affrontare liti successorie che, di fatto, possono stravolgere quanto pianificato dal defunto e portare al declino l’azienda.
Non sempre le donazioni tengono conto del fatto che la legge tratta le donazioni fatte in vita ai figli e loro discendenti e al coniuge come anticipazioni sulla successione e che le stesse, al momento della successione, dovranno essere conferite alla massa ereditaria (in natura o per imputazione del loro valore) per addivenire poi alla divisione di tutta la massa tra gli eredi secondo la quota a loro spettante, secondo quanto previsto dall’istituto della collazione (articolo 737c.c.).
Vero è che il donante in vita o, nel testamento, può dispensare il donatario dalla collazione nei limiti della quota disponibile, cioè di quella quota di patrimonio di cui il testatore può liberamente disporre, ma possono comunque sorgere problemi gravi, per esempio, dove il valore della azienda donata superi la quota di legittima (ed eventualmente la quota disponibile) del donatario e si dovrà considerare come compensare gli altri con complicazioni dovute alla valutazione della azienda, le modalità di compensazione e quant’altro.

Per superare queste difficoltà, il legislatore con l’introduzione nel 2006 dell’istituto del Patto di Famiglia (art. 768 c.c.) ha voluto mettere a disposizione uno strumento che permettesse il passaggio generazionale assicurando la salvaguardia dell’impresa e dei diritti dei legittimari. Il Patto di Famiglia introduce a questo fine una deroga al divieto dei patti successori, e alla disciplina della collazione consentendo una eccezione al diritto all’azione di riduzione con la quale i legittimari potrebbero agire in giudizio per ottenere la reintegrazione della loro quota di legittima nel caso in cui questa fosse compromessa dal trasferimento dell’azienda o partecipazioni societarie agli altri eredi.
Al Patto partecipano l’imprenditore e tutti i suoi eredi con diritto di legittima e oggetto del Patto deve necessariamente essere il trasferimento in tutto o in parte (o nuda proprietà della azienda o partecipazioni societarie) dell’azienda o società che svolge attività imprenditoriale a uno o più eredi e la liquidazione da parte dell’erede assegnatario o dell’imprenditore dei diritti degli altri eredi in beni o in denaro o la loro rinunzia parziale o totale alla legittima spettante ai sensi di legge. L’istituto offre la possibilità di strutturare il passaggio generazionale senza i vincoli posti dal divieto dei patti successori e dalla collazione delle donazione, offrendo delle buone condizioni fiscali e potendo essere arricchito con una adeguata preparazione, per esempio, con una diversa strutturazione del patrimonio che preveda la separazione di diversi beni o il ricorso a strumenti per la gestione del patrimonio, quali il trust.
Tuttavia l’istituto pone anche inevitabili difficoltà di negoziazione e richiede una attenta redazione degli accordi per provvedere per eventuali modifiche, scioglimento, volontà di annullamento da parte dei partecipanti e la gestione dei diritti di soggetti divenuti legittimari dopo la stipulazione dell’atto (nuovo coniuge, nuovi figli).
Questi aspetti portano spesso ad escludere il Patto di Famiglia dalla strutturazione del passaggio generazionale o ad insuccessi perché non si considera con sufficiente attenzione le complessità che comporta.
Per costruire una operazione di successo può essere necessaria non solo assistenza legale per la protezione dei diritti degli eredi e per assicurare che vengano attuati gli interessi del disponente, ma anche l’assistenza di un professionista della negoziazione, un Mediatore, per guidare la negoziazione e contemperare i diversi bisogni, per arrivare ad un accordo condiviso.
Il Mediatore è un professionista che agisce come terzo imparziale per promuovere un accordo condiviso fra le parti.
La figura del Mediatore nel nostro sistema è ancora poco usata e conosciuta, ma dovrebbe essere considerata con più attenzione in casi come quelli attinenti al passaggio generazionale dove relazioni personali e interessi economici si intrecciano e dove il conflitto tra gli interessati porta non solo al deterioramento delle relazioni tra le parti, ma anche, a forti perdite economiche.
Non bisogna pensare che la mediazione sia rivola a chi non sa negoziare, al contrario è proprio utile lì dove le parti e i loro consulenti hanno piena capacità di negoziare per i propri interessi ma necessitano per arrivare ad un accordo di un canale neutro dove i diversi interessi si possano equilibrare.
Riassumendo direi che la difficoltà nel realizzare un efficiente passaggio generazionale delle imprese di famiglia è dovuta alla riluttanza del testatore a provvedere in vita e in buon tempo, la tendenza a sottovalutare l’importanza di prevedere quale possa essere la soluzione specifica caso per caso, allo scarso coinvolgimento di tutti gli interessati durante tutto l’iter di pianificazione cercando il loro consenso.
Una struttura valida deve essere pianificata caso per caso con un occhio attento anche agli aspetti fiscali, tenendo conto di quelle che sono le inclinazioni e le aspettative degli eredi, cercando di prevedere le difficoltà che potrebbero sorgere alla successione e provvedendo per il loro superamento sia con adeguate operazioni durante la vita del testatore che con la corretta applicazione degli strumenti offerti dal nostro ordinamento.
Milano, 04.03.2022
Avv. Antonietta Marsaglia